Il Pdl si divide, la zona a nord di Milano in rivolta
Sgarbi: "Alla Bicocca quartiere a luci rosse"
La proposta dell'assessore alla Cultura di Milano mira a combattere il racket della prostituzione
MILANO — L'intento: «Dobbiamo combattere il racket della prostituzione». Tutti d'accordo. Un po' meno quando l'assessore milanese alla Cultura, Vittorio Sgarbi, espone la sua ricetta: «In città servirebbe un quartiere a luci rosse». La provocazione è lanciata: giunta (di centrodestra) divisa, proteste (bipartisan) in consiglio comunale. E le polemiche aumentano quando il critico indica l'eventuale location del sexy sobborgo: la Bicocca. Mercato del sesso là dove sorgono il Teatro degli Arcimboldi, l'Università degli Studi, l'Hangar che ospita i lavori dei più grandi artisti contemporanei. Ma questa volta la reazione è unanime: «I bordelli qui non li vogliamo». Una zona hard dove esercitare la prostituzione. A nord di Milano, nella ex area industriale della Pirelli che con i suoi 960 mila metri quadrati costituisce il più importante intervento di trasformazione urbanistica in Italia. La premessa di Sgarbi: «Non ho dubbi sull'opportunità di creare uno o più poli a luci rosse. Si potrebbe trattare con il mondo delle prostitute e le loro associazioni. Mi pare la cosa più ovvia, a vantaggio sia delle donne che dei clienti».
Le prime reazioni arrivano dalla politica: consensi tra le «assessore » Ombretta Colli e Tiziana Maiolo (FI), no del vicesindaco Riccardo De Corato (An) e del capogruppo del Pd in Comune Marilena Adamo. Il deputato azzurro Maurizio Lupi commenta: «Indicare un luogo dove lo sfruttamento della donna diventa un simbolo è un insulto alla tradizione di Milano». Tra i critici c'è anche il presidente della Provincia di Milano, il democratico Filippo Penati: «Un giorno il Comune propone il kit antidroga, quello dopo i quartieri a luci rosse. Un atteggiamento un po' schizofrenico. È doveroso, invece, pensare alla dignità delle donne, non al comfort del cliente». Sgarbi insiste: «È una soluzione civile. Il quartiere ideale? La Bicocca». E come se non bastasse aggiunge: «Quelle case sono scatole da scarpe senza identità. La gente non esce la sera. Non sarebbe di nessun disturbo un casinò del sesso in uno di quei palazzoni». Ed è a quel punto che la polemica sale di tono.
Il primo a insorgere è Marcello Fontanesi, rettore dell'Università degli Studi Milano- Bicocca, 10 anni di vita e 30 mila iscritti: «È vero, il quartiere potrebbe essere più vivo. Ma non condivido il concetto di ghetto. Sgarbi si concentri sulla cultura: credo che ce ne sia bisogno». Il più offeso è Andrea Stratta, amministratore delegato della «Uci Cinema», la società che possiede un multisala nel cuore della Bicocca: «La zona è viva. Abbiamo un milione di spettatori l'anno». Non chiamatelo quartiere dormitorio. Marco Gianfala, presidente del comitato «Vivibicocca », osserva: «Abbiamo il più alto tasso di natalità di Milano ». Stoccata all'amministrazione: «Sono anni che chiediamo strutture per i bambini. Se questa è la risposta del Comune...». Coro unanime: «Lo facciano da un'altra parte». Perché il problema è tutto qui: la paura che il mercato del sesso porti degrado, spaccio, violenza. Lo sa bene don Andrea Gallo, fondatore della comunità di San Benedetto, alle porte di Genova: «Le zone a luci rosse non sono la soluzione. Bisogna avere il coraggio di dare alle prostitute la possibilità di organizzarsi in piccole cooperative. Superando ogni pregiudizio».