L'Italia a banda larga è divisa in tre
Svantaggi digitali per 23 milioni. Il Centro-Nord resta indietro
Tre ragazzi del ginnasio, che hanno fatto amicizia in vacanza, rientrati nelle rispettive città si scambiano messaggi in posta elettronica. Tutti e tre devono fare una ricerca come compito a casa; ma mentre Marco dispone del collegamento Internet veloce, e dunque accede rapidamente a documenti testuali e video, Alberto e Luca sono meno fortunati: uno ha l'Adsl più lento, l'altro nemmeno quello. Ecco, gli esperti direbbero che Alberto e Luca sono in una condizione di digital divide, ovvero di divario, di svantaggio digitale, perché dispongono di una tecnologia di comunicazione molto meno potente. Il digital divide è una brutta cosa quando riguarda i singoli, perché crea nuove forme di ineguaglianza, ma è ancora peggio quando investe intere aree di un Paese. Divario digitale vuol dire in prospettiva l'impossibilità di accedere a nuovi servizi come la telemedicina e la teledidattica, che permettono di avere diagnosi o di seguire corsi scolastici a distanza, risparmiando costi di trasporto o «portandosi a casa» università lontane. È quello che già accade nei Paesi scandinavi, in Australia e in Asia.
Questi servizi video, resi possibili dalla banda larga o ultralarga, faranno la differenza competitiva tra Paese e Paese. In Italia il problema del digital divide si presenta in forme originali. Ad essere sfavorito, come risulta dall'ultimo rapporto dell'Osservatorio Banda Larga di Between, in questo caso non è solo «il Mezzogiorno » ma anche il Nord. Il digital divide all'italiana è emerso per la prima volta alla fine del 2004, quando l'Osservatorio diretto da François de Brabant ha mostrato che 9,8 milioni di italiani non avevano l'accesso Internet a banda larga, ed erano quindi tecnologicamente handicappati. E che tra le regioni sfavorite c'erano — accanto alla Campania, al Lazio e alla Sicilia — il Piemonte, il Veneto e la Lombardia. Questo nel 2004. L'immagine cambia se si guarda la nuova foto scattata dall'Osservatorio nel 2007. La situazione, alla fine dell'anno scorso, appare notevolmente migliorata: la popolazione in digital divide è scesa da 9,8 a 3,4 milioni di persone. Anche se alcune regioni del Settentrione — in particolare il ricco e popolato Veneto— risultano messe ancora abbastanza male. Che cosa è accaduto in questi tre anni? Spiega de Brabant: «La banda larga è più diffusa. E oltre il 95 per cento dei risultati ottenuti si deve a Telecom Italia, che, malgrado le limitazioni imposte dal debito agli investimenti, ha fatto un grosso lavoro di estensione della rete intervenendo sulle centrali di commutazione e sulle linee.
Questo è avvenuto soprattutto negli ultimi due anni, con il parziale contributo di Infratel ( società di scopo costituita per iniziativa del ministero delle Comunicazioni, ndr). Il resto è dovuto all'iniziativa delle Regioni e degli enti locali». Tutto risolto dunque? Nient'affatto. I progressi compiuti fra il 2004 e il 2007 si devono sostanzialmente alla diffusione dell'Adsl. L'Adsl è una tecnologia che potenzia la rete telefonica esistente, utilizzando gli stessi cavi di rame che ci consentono di telefonare, ma non sostituisce la vecchia infrastruttura, e proprio in questo consiste la sua genialità. Geniale ma con un limite: oltre certe distanze, oltre una certa quantità di traffico, oltre certi tipi di servizi, in particolare quelli video, l'Adsl non basta più. Serve la fibra ottica come quella posata in passato da Fastweb, che arriva nelle case di alcune centinaia di migliaia di fortunati. Ma la fibra ottica, lo dice la parola, costa... un occhio. E qui si apre — ecco il dato ancora inedito dell'Osservatorio Banda Larga di Between — un nuovo digital divide, quello che gli esperti chiamano «di seconda generazione», perché riferito alla non disponibilità di 20 Megabit: secondo questo parametro, spiega Between, 23,2 milioni di italiani, il 33% della popolazione, sono in condizioni di svantaggio. E si tratta della popolazione che vive non nel profondo Sud ma nel Centro-Nord, in regioni ricche, densamente abitate ed evolute come il Veneto, la Toscana e l'Emilia Romagna.
Più in particolare, si sta creando una realtà che l'Osservatorio definisce delle tre Italie, «dove solo una piccola parte del territorio potrà beneficiare di servizi a banda ultralarga (oltre i 20 Megabit) con all'estremo opposto territori ancora privi del servizio e un'ampia fascia intermedia». Il tutto mentre in alcuni Paesi del mondo, soprattutto asiatici, il dibattito politico e industriale è concentrato su come creare le condizioni per portare 100 Megabit a oltre il 75 per cento della popolazione. Come se ne esce? «Il sistema Italia — dice de Brabant — è ormai consapevole che la rete a banda larga è condizione essenziale per lo sviluppo del Paese. Consapevolezza dimostrata dalla presenza dell'argomento nei programmi elettorali di entrambi i maggiori partiti. La domanda è chi paga un'infrastruttura del genere: e per i prossimi tre anni è indispensabile investire i 700 milioni di euro che servono per portare il Paese a 20 Megabit». Risposte facili chiaramente non ce ne sono: «Una strada può essere quella di trovare formule collaborative tra gli operatori telefonici, come si sta tentando in Francia. Un'altra quella di esentare l'operatore che installa la fibra dall'obbligo di condividerla con i concorrenti, come in America. Un'altra ancora è sicuramente quella che vede diffondersi le iniziative di Regioni e Enti locali».
Gli enti locali, capita l'antifona, si stanno dando da fare. «E — secondo Lucia Pasetti, responsabile informatica della Regione Liguria — con una novità davvero rimarchevole: coordinandosi tra di loro». Qualche esempio tra i tanti. Quindici milioni li ha spesi la Regione Piemonte con l'obiettivo di portare l'Adsl in 1.050 dei 1.200 Comuni non ancora raggiunti entro la fine del 2008. «Usando i fondi europei — dice il responsabile informatico della Regione Roberto Moriondo — abbiamo collegato in fibra ottica i capoluoghi e creato una rete ad alta velocità che connette pubblica amministrazione, imprese e università». Qualcosa di simile ha fatto il Veneto, regno delle piccole imprese e delle partite Iva, spendendo una cifra analoga per portare la fibra ottica in aree a rischio spopolamento come l'Alto Veronese e la Bassa Padovana. «Dalle nostre parti — spiega Elvio Tasso, dirigente della Regione — chi si sente tagliato fuori è soprattutto il piccolo imprenditore che senza banda larga non può crearsi un buon sito Internet o accedere facilmente ai servizi online della burocrazia ». Contrariamente alla sobria fama della sua gente, tra le Regioni che spendono di più contro il digital divide c'è proprio la Liguria: spenderà 29 milioni di euro per ridurre la distanza tecnologica dell'entroterra montuoso rispetto alle due Riviere. In embrione si profila insomma quella che nell'articolo sull'esperienza britannica (qui accanto) il manager Francesco Caio chiama la «devolution tecnologica». Ma può bastare?
Edoardo Segantini
02 aprile 2008