giovedì 3 aprile 2008

Appello a Mel Gibson

Di seguito vi metto la vita di Giovanni dalle bande nere
Chi è di Milano avrà visto sulla linea uno chissà quante volte la fermata dedicata a lui.
Bande nere perchè le sue bande si vestivano di nero per agire di notte, una vera e propria precursione dei commandos.
E' uno dei più grandi guerrieri e commandanti del medioevo, per dirla tutta il buon William Wallace gli fa una pippa.
Ma..... a fare un film su Wallace è stato Gibson, ed ora è famoso in tutto il mondo.
Il povero Giovanni è finito nelle mani della mediocre e noisosa cinematografia itlaiana che ci ha fatto il pallosissimo mestiere delle armi.
Tutto in interni, senza un perchè, sneza ritmo ne azione.
Spero che Gibson un giorno ci si imbatta per caso ed allora John of Black team avrà un film che lo metta nel giusto posto che deve avere tra i grandi guerrieri degli ultimi 1000 anni.............
Mel, pensaci tu

Figlio del fiorentino Giovanni de' Medici (detto il Popolano) e di Caterina Sforza, la signora guerriera di Forlì e Imola, una delle donne più famose del Rinascimento, che si era strenuamente difesa da Cesare Borgia nella sua rocca forlivese. Venne chiamato Ludovico in onore dello zio, duca di Milano, ma alla morte del padre, avvenuta quando aveva pochi mesi d'età, la madre gli cambiò il nome in Giovanni.

Fu ritenuto da Niccolò Machiavelli come la figura capace di unificare l'Italia. Giovanni passò la propria infanzia in un convento, poiché la madre era prigioniera di Cesare Borgia.

Nel 1509 Caterina Sforza morì e la tutela di Giovanni passò al canonico Francesco Fortunati ed al ricchissimo fiorentino Jacopo Salviati, marito di Lucrezia de' Medici, figlia di Lorenzo il Magnifico. Jacopo Salviati dovette spesso rimediare con la propria autorità e fama alle numerose marachelle del ragazzo, ma nel 1511 non poté evitargli il bando da Firenze, per l'uccisione di un suo coetaneo in una lite tra bande di ragazzi, bando ritirato poi l'anno successivo.

Quando il Salviati fu nominato ambasciatore a Roma nel 1513 Giovanni lo seguì, e qui fu iscritto nelle milizie pontificie grazie all'intercessione del Salviati presso papa Leone X, zio di sua moglie Maria Salviati.

Il suo battesimo del fuoco nel suo nuovo ruolo di soldato papale avvenne il 5 marzo 1516 nella guerra contro Urbino al seguito di Lorenzo de' Medici. La guerra durò solo 22 giorni, dopo i quali Francesco Maria della Rovere si arrese; nonostante la propria indole irrequieta Giovanni riuscì a insegnare agli uomini della sua compagnia, militari indisciplinati, rozzi e individualisti, disciplina e obbedienza. Ebbe anche modo di osservare, con acume caratteristico, il declino della cavalleria pesante.

Giovanni quindi al momento di crearsi una propria compagnia scelse perciò di impiegare cavalli piccoli e leggeri, preferibilmente turchi o berberi, adatti a compiti tattici quali schermaglie d'avanguardia o imboscate; individuò nella mobilità l'arma più utile da usare. Un accento particolare fu messo sullo spirito di corpo, allora assai carente. I nuovi venuti ricevevano un addestramento particolare, spesso impartito da Giovanni personalmente; spesso i traditori erano condannati a morte.

Sposò Maria Salviati, figlia di Jacopo, che gli diede un figlio, Cosimo, destinato un giorno a diventare Granduca di Firenze.

Nel 1520 sconfisse diversi signorotti ribelli marchigiani, tra i quali Ludovico Uffreducci che restò ucciso in battaglia presso Falerone. Nel 1521 Leone X si allea con l'imperatore Carlo V contro Francesco I, per consentire agli Sforza di tornare padroni di Milano e per occupare le città perdute di Parma e Piacenza; Giovanni è assoldato e posto sotto il comando di Prospero Colonna. Partecipa in novembre alla battaglia di Vaprio d'Adda: oltrepassa il fiume controllato dai francesi e li mette in fuga, aprendo la strada per Pavia, Milano, Parma e Piacenza.


Ritratto ad opera di Gian Paolo PaceIl primo dicembre muore Leone X, e Giovanni per manifestare il lutto fa annerire le insegne, che fino ad allora erano a righe bianche e viola, diventando così famoso presso i posteri come Giovanni dalle Bande Nere.

Nell'agosto 1523 Giovanni viene ingaggiato dagli imperiali, e nel gennaio del 1524 attacca di notte il campo del francese Cavalier Baiardo, mentre questi dormiva e lo mette in fuga, facendo prigionieri oltre trecento soldati. Successivamente affronta gli Svizzeri, la più temuta fanteria dell'epoca, che intanto sono calati dalla Valtellina in aiuto dei Francesi; Giovanni li sconfigge a Caprino Bergamasco, costringendo l'armata francese a lasciare l'Italia.

Intanto a Roma diviene papa Clemente VII, della famiglia Medici, cugino della madre di Giovanni, Caterina; il nuovo pontefice paga tutti i debiti di Giovanni, chiedendogli, però, in cambio, di passare con i Francesi. Questo accade nel novembre-dicembre 1524 quando Francesco I entra nuovamente in Italia per una campagna militare e ritorna in Lombardia schierandosi sotto Pavia, dove subirà la celebre cocente sconfitta e la prigionia.

La compagnia di Giovanni non partecipa alla battaglia: in una scaramuccia il 18 febbraio 1525 Giovanni "fu da uno archibuso in uno stinco di gamba gravemente ferito" (G. G. Rossi, Vita di Giovanni de' Medici). Spesso vengono confusi i fatti e gli "attrezzi" del febbraio 1525 con quelli del novembre 1526, quando, effettivamente, Giovanni verrà ferito ad una coscia da un colpo di falconetto. Anche Pietro Aretino, nella famosissima e suggestiva lettera (la n. 4 del primo libro) dà la medesima versione" "... ecco (oimè) un moschetto che gli percuote quella gamba già ferita d'archibuso..."). Allo stesso modo, nel descrivere i momenti ed i luoghi delle cure la storiografia corrente pare non aver tenuto più di tanto in considerazione i documenti e le testimonianze ufficiali. In effetti Giovanni viene subito trasportato a Piacenza, come relaziona Maestro Abramo, il medico inviato dal marchese di Mantova. Ma il 7 di marzo (in M. Tabanelli, Giovanni de' Medici dalle Bande Nere) Giovanni arriva nel parmense: "... si fece portare nel parmigiano a i castelli della sorella" (G.G. Rossi, cit.). Solo nel mese di maggio Giovanni si recherà a Venezia, dove potrà giovarsi, nell'ultima parte della convalescenza, dei benefici bagni termali della vicina Abano. Le sue Bande Nere in parte lo seguono, in parte si sciolgono.

A Venezia Giovanni potrebbe mettersi al servizio della Serenissima, ma è tipo troppo ribelle e declina con la frase: «Né a me si conviene per esser io troppo giovane, né ad essa perché troppo attempata».

Nel 1526 re Francesco I torna libero e in maggio, nasce la lega di Cognac contro l'Impero; papa Clemente si schiera con il re Francesco ed a Giovanni è affidato il comando delle truppe pontificie. Il 6 luglio il capitano generale Francesco della Rovere, di fronte alle soverchianti forze imperiali, abbandona Milano, ma Giovanni rifiuta l'ordine di fare la stessa cosa e attacca la retroguardia del nemico alla confluenza del Mincio col Po, sconfiggendo i lanzichenecchi, mercenari tedeschi capeggiati da Georg von Frundsberg. La sera del 25 novembre, nelle vicinanze di Governolo, Giovanni viene colpito allo stinco da un colpo di falconetto,(probabilmente fornito da Alfonso I d'Este) che gli procura una gravissima ferita.

« ... Giovanni de' Medici co' cavalli leggieri; e accostatosi piú arditamente perché non sapeva che avessino avute artiglierie, avendo essi dato fuoco a uno de' falconetti, il secondo tiro roppe la gamba alquanto sopra al ginocchio a Giovanni de' Medici; del quale colpo, essendo stato portato a Mantova, morí pochi dí poi,... »
( Francesco Guicciardini - Storia d'Italia, lib. 17 cap. 16)

Viene subito trasportato a San Nicolò Po ma non si trova un medico perciò è trasportato a Mantova presso il palazzo di Luigi Gonzaga detto "Rodomonte", dove il chirurgo Abramo, che già lo aveva curato con successo due anni prima, gli amputa la gamba. Per effettuare l'operazione il medico chiede che 10 uomini tengano fermo Giovanni.

Pietro Aretino testimone oculare, descrive le sue ultime ore in una lettera a Francesco Albizi:

« «Neanco venti» disse sorridendo Giovanni «mi terrebbero», presa la candela in mano, nel far lume a sé medesimo, io me ne fuggii, e serratemi l'orecchie sentii due voci sole, e poi chiamarmi, e giunto a lui mi dice: «Io sono guarito», e voltandosi per tutto ne faceva una gran festa. »


La cancrena è però inarrestabile e nel giro di pochi giorni lo porta alla morte. Il valoroso condottiero si spegne il 30 novembre 1526, e viene sepolto tutto armato nella chiesa di San Francesco a Mantova. Giovanni, in agonia, aveva inizialmente pensato di affidare il comando delle truppe a Lucantonio Cupano, uno dei suoi più fidi soldati o al nipote Pier Maria Rossi di San Secondo, figlio della sorella Bianca Riario, ma è tutto inutile: prive del loro capo e del suo carisma, le bande si sciolgono.

Sempre Pietro Aretino testimonia:

« Si mosse a ragionar meco, chiamando Lucantonio con estema affezione; e dicendo io: «Noi manderemo per lui», «Vuoi tu», disse, «che un par suo lasci la guerra per veder amalati?». Si ricodò del conte di San Secondo, dicendo: «Almen fusse egli qui, che gli restarebbe il mio luogo». »


E anche Giovan Girolamo de' Rossi, nipote di Giovanni e fratello del Conte di San Secondo, conferma:

« Esso signore le raccomandò nella morte sua al conte Pietromaria Rosso di San Secondo, suo nipote, scrivendo a papa Clemente che non poteva darle più concenevolmente ad altri che a lui, il quale, per essere suo nipote e continovamente nutrito da lui nella guerra, sarebbe da i suoi soldati temuto e amato più d'ogni altro. »