mercoledì 30 luglio 2008

Il cacciatore di Aquiloni

lo abbiamo visto sabato al cinema del paese

Neanche un cinema, era proiettato direttamente sul muro del municipio

Carino trovare li mezzo paese che si da gran schiaffi per le zanzare e si vede sto film.
E poi vi a mangiare la salamella
Recensione
“Il cacciatore di aquiloni”, scritto da Khaled Hosseini è stato il caso letterario degli ultimi anni. Una storia di amicizia, di tradimento e di ricerca di redenzione sullo sfondo dei drammatici eventi che hanno colpito l’Afghanistan, un tempo felice e colmo di vitalità. Un paese che dall’invasione sovietica, è stato totalmente annientato. Nel recensire un film tratto da un best seller sarebbe necessario non considerare troppo i paragoni tra il film ed il libro. Letteratura e cinema, pur essendo due forme d’arte, tendono a descrivere la realtà e la finzione con ritmo ed attitudine alle emozioni in maniera differente. Fotogrammi e parole sono due mezzi comunicativi che stimolano diverse percezioni. Nella letteratura c’è totale spazio per l’immaginazione, mentre il cinema arriva diretto allo spettatore attraverso le sue percezioni sensoriali. Quando viene descritta una scena in un libro, sono sottolineati particolari che possono sfuggire ad uno spettatore poco attento di fronte allo schermo. E le emozioni dei personaggi nel cinema devono essere filtrate dalla conoscenza e dalla cognizione dello spettatore, quando invece nel libro possono essere palesemente descritte dallo scrittore. D’altra parte, il film permette attraverso le immagini di percepire i fatti senza il filtro dell’immaginazione, in un contesto reso indipendente dallo stato d’animo di chi si pone alla lettura.
C’è poi da valutare anche il grado di fedeltà un regista ha intenzione di perseguire. Non sempre si vuole attuare una semplice trasposizione dal libro allo schermo e tutto può essere eventualmente rielaborato e mostrato attraverso l’interpretazione soggettiva del regista.
Fatta questa obbligata premessa, il film di Forster è senza dubbio un grande spettacolo in termini di fotografia, scenografia (ricostruita in Cina ai confini con l’Afghanistan), ed interpretazione. I due ragazzini, scolari di una scuola di Kabul, sorprendono per espressività ed affiatamento. Zekeria Ebrahimi e Ahmad Khan Mahmidzada, rispettivamente, il primo impegnato nella parte di un bambino più maturo ed introverso, il secondo più infantile ed ingenuo, sono stati magistralmente diretti da Forster. Homayoun Ershadi (Baba) è un attore che ha poco da dimostrare, pregevole in termini di intensità e profondità interpretativa.
Le vicende personali si intrecciano in maniera convincente con quelle del paese, prima invaso dall’Armata Russa e più tardi oppresso dal regime talebano. Le atmosfere sovraccariche di tensione durante quel periodo trovano massima espressione nella scena della lapidazione dello stadio e la successiva disposizione del cadavere della donna sul furgone. Tutto secondo i dettami della legge della Shari'a, ma la donna viene selvaggiamente gettata come un’animale da macello. Il viaggio attraverso l’Afghanistan compiuto da Amir rappresenta il suo viaggio a ritroso nel tempo alla ricerca della redenzione, laddove ormai maturo ha necessita di porre rimedio agli errori di un bambino, che in quanto bambino non comprende. Ma la sua terra natia è oramai cambiata nella sua essenza, tale da non essere riconosciuta. Le persone vivono come scheletri per le strade, non c’è musica, non c’è gioia e, peggio ancora, non ci sono più gli aquiloni nel cielo, vietati dal regime talebano. Interessante anche la parte ambientata in America, esempio dell’integrazione cui sono sottoposti un gran numero di immigrati, passati dai fasti delle proprie case natali a piccoli monolocali nelle periferie delle città americane, senza però mai perdere l’orgoglio per il proprio passato e per le proprie origini.
Marc Forster, consapevole della limitazione imposta dai tempi cinematografici ed dunque impossibilitato alla minuziosità del testo di Hosseini, si concentra sulle immagini assistito dalla computer graphics, in particolar modo sul volo degli aquiloni che indubbiamente (la gran parte dei lettori non hanno mai avuto modo di vedere come si svolge una caccia agli aquiloni) non potevano essere immaginate nella loro bellezza dalle pagine del libro.
“Il cacciatore di aquiloni” mostra un fantastico utilizzo delle immagini in ogni sequenza, trasmettendo emozioni e permettendo di conoscere un Afghanistan prima felice ed in seguito oppresso da un regime totalitario che ha cancellato ogni segno di felicità e vivacità. Potrà deludere chi ha letto il libro, ma per un attimo meglio non pensare al libro di Hoseiini ed ammirarlo per quello che è: un ottimo film. Da segnalare come nella versione italiana non sia stata mantenuta la scelta di Forster di lasciare le parti in Afghanistan in lingua farsi sottotitolata. Una scelta probabilmente sbagliata.